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dal 10 al 16 giugno
PECETTO TORINESE Chiesa dei Battù
Prima Assoluta
PASSIO LAETITIAE ET FELICITATIS
di Giovanni Testori
regia Valter Malosti
con Laura Marinoni
e con Silvia Altrui
uno spettacolo di Valter Malosti
suono G.U.P.
luci Francesco dell'Elba
spazio scenico Carmelo Giammello
costumi Federica Genovesi
produzione Teatro di Dioniso, Festival delle Colline Torinesi, Asti Teatro 30, CRUT Torino
Passio Laetitiae et Felicitatis è un romanzo del 1975 ed affronta la tragica ed insieme tenerissima storia d'amore, dentro una Casa conventuale, tra Suor Felicita ed un’orfana giovanissima (Letizia), e l’esplodere dell’ordine in un crescendo visionario di sessualità, morte e devozione religiosa.
Passio appartiene a pieno titolo allo stesso magma linguistico ed emotivo dei magnifici testi teatrali della trilogia degli scarrozzanti (Ambleto, Macbetto ed Edipus), originale rivisitazione di argomenti e protagonisti del teatro classico; lì, come in Passio, lo strumento espressivo è quello d’una lingua inventata, coacervo di lombardo, italiano del seicento e volgare; una lingua potente e straziante, che sa accogliere al suo interno l’avanspettacolo, le canzonette, i canti liturgici e il melodramma, senza perdere in altezza e in poesia, e che in una specie di equilibrismo rimane sempre popolare. Una scrittura che diventa ancora più viva quando si stacca dalla pagina scritta e si incarna, si fa parola da dire a voce alta, si fa teatro. Felicita tenta di strappare all’oscurità le parole che possano raccontare la sua vita, esprimendosi, come dice Anna Banti, “con impetuosa velocità, contraendo e amputando consonanti e vocali che si torcono e si rimbucano come ramarri”. Ecco dunque la scommessa di portare la parola di Testori, come egli stesso dice, “a gridare, a pregare e a essere soprattutto una disfatta” dentro il ventre del teatro.
Ed eccomi ad assecondare l’intuizione di un atto teatrale dentro quelle parole, in un percorso irto e accidentato di inesausta ricerca delle mie radici espressive.
Immagino per questo mio studio uno spazio che sia una soglia, una sorta di sospensione tra la vita e la morte, come in una fotografia di Witkin; uno spazio sacro ancorché grottesco, in cui l’immaginario “alto” incontra la cultura popolare, in cui ridere e piangere non sia vietato da nessuna legge teatrale o critica.
Valter Malosti