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sabato 21 giugno ore 19, domenica 22 giugno ore 21
Teatro Astra, Torino

Prima Assoluta

VIRGILIO BRUCIA

di Simone Derai, Patrizia Vercesi
regia Simone Derai

con Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Massimiliano Briarava, Moreno Callegari, Marta Kolega, Gloria Lindeman, Paola Dallan, Artemio Tosello, Emanuela Guizzon
e con la partecipazione straordinaria in video di Marco Cavalcoli
con il Coro dell'Accademia Stefano Tempia di Torino 
maestro del coro Dario Tabbia 
maestro collaboratore e direttore dell'esecuzione Francesco Cavaliere 

video
concept Simone Derai, Moreno Callegari, Giulio Favotto
direzione della fotografia Giulio Favotto / OTIUM
editing Moreno Callegari, Giulio Favotto
sound design Mauro Martinuz
regia Simone Derai 

costumi Serena Bussolaro, Simone Derai
accessori Silvia Bragagnolo
maschera di Ottaviano Augusto Felice Calchi
scene Simone Derai, Luisa Fabris, Guerrino Perosin
musiche Mauro Martinuz
arrangiamenti musiche tradizionali, composizioni vocali originali e conduzione corale Paola Dalla, Gloria Lindeman, Marta Kolega, Gayanée Movsisyan
Byzantine chant e Kliros tratti da Funeral Canticle di John Taverner
beats Gino Pillon
traduzione e consulenza linguistica Patrizia Vercesi
testi ispirati dalle opere di Publio Virgilio Marone, Hermann Broch, Emmanuel Carrère, Danilo Kiš, Alessandro Barchiesi, Alessandro Fo, Joyce Carol Oates
ideazione scene e costumi Simone Derai
organizzazione Marco Menegoni per Anagoor, Laura Marinelli e Stefania Santoni per Centrale Fies
comunicazione Virginia Sommadossi per Centrale Fies

produzione Anagoor
coproduzione Festival delle Colline Torinesi, Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto, University of Zagreb-Student Centre in Zagreb-Culture of Change
Anagoor è parte di Fies Factory e APAP-Performing Europe

durata 1h 30'

Nella sua Vita Elio Donato disegna con rapidi tratti un Virgilio schivo, di carattere mite e modesto, dalla parlata timida e lenta, tanto da apparire ignorante. Una figura in netto contrasto con il mito del poeta che non esitava a cantare i potenti - e per i potenti - e non esitava ad usare il registro epico e il ruolo di poeta laureato al servizio di Ottaviano.
La nostra epoca antitotalitaria coltiva giusti e legittimi sospetti nei confronti dei poeti e della poesia al servizio di un'ideologia ufficiale. Tuttavia ribolle sotterranea una tensione latente tra il Virgilio introspettivo, che colora i suoi versi di melodia tipicamente malinconica, e il Virgilio propagandista ufficiale che deve proclamare il trionfo delle armi romane e la storia della dinastia al potere. C'è una composta, disciplinata serenità nell'opera di Virgilio, ma sotto la superficie indisturbata si agita un dissidio interiore, quel dissidio che William Butler Yeats considerava la reale e autentica fonte della creazione artistica.
Questo nostro lavoro non è un'opera sulle Bucoliche, sulle Georgiche o sull'Eneide. È piuttosto uno sguardo spaventato alla frattura che fende e ferisce la base di un'esistenza da cui scaturisce, come un fiume che lava, la creazione poetica.
Su insistenza di Augusto, nel 22 a.C. Virgilio lesse parte del grande poema promesso, allora ancora in via di costruzione, e al quale lavorò per undici anni fino alla morte. In tre distinte serate il poeta recitò i versi di tre dei dodici libri della futura Eneide. Non tre libri a caso: il Secondo, ovvero il rogo di Ilio e il crollo del regno troiano, racconto di inaudita violenza che funge da propulsore alla vicenda del popolo in fuga verso l'Italia; il Quarto, ossia l'abbandono di Cartagine e di Didone, esemplare rinuncia alle proprie passioni, all'amore e alla felicità, sacrificate in nome di una missione più alta; il Sesto, in cui si narra la discesa di Enea nel regno dei morti per ritrovare il padre Anchise, libro quest'ultimo posto esattamente al centro del poema, significante spartiacque tra passato e futuro, tra incendio e futura fondazione.
Il nostro lavoro può essere osservato attraverso il filtro di questi tre libri.
Virgilio è Enea, un eroe che porta nel nome un dolore insostenibile, riluttante eppure capace di accettare di assumersi l'onere di una missione immensa, sproporzionata per un solo uomo. Virgilio come Enea si carica sulle spalle un bagaglio enorme e con tale enorme fardello attraversa il bruciante processo della creazione consumando la propria vita, inseguendo vie di fuga dalle fiamme divoranti del proprio sentire, delle proprie urgenze, laddove fuggire dall'incendio è mettere in salvo se stessi, e mettere in salvo una tradizione a brandelli levando un canto funebre per ciò che non sarà più, perché la propria creazione darà l'addio definitivo ai padri di cui conserviamo il dna dando il via ad una nuova lingua.
Sullo sfondo di una vita che brucia per cantare un "Gloria al mondo" (che è un impensabile descrivere il mondo nella sua interezza), il mondo intero, le moltitudini, le migrazioni, la precarietà dell'esistenza, i capi, i pastori e i contadini, i trionfi e i fallimenti della politica, l'indifferenza e insieme la straziante mitezza del mondo naturale, la fragilità e insieme l'assurda ferocia degli uomini, la Storia che come una macchina avanza senza aver cura delle sofferenze degli individui di qualsiasi regno essi siano e l'esperienza, a caro prezzo pagata, del dolore, l'unico tra le nostre passioni ed affetti a durare in eterno.
Infine, nella visione dell'opera incastonata nell'opera, la possibilità di vedersi di fronte alle lacrime del mondo.
Si staglia contro questa cortina di fuoco un'inesauribile fiducia riposta nei cantori, figure in cui, insieme ai canti di lavoro ascoltati sui campi di Mantova, si riversano le memorie di Virgilio bambino, quasi il suono, i versi e il metro che ordina il mondo fossero in grado di fornire un lavacro capace di spegnere il rogo. Una fede che fa da contraltare al sentimento di sfiducia sul fatto artistico stesso che sembra emergere dall'opera virgiliana. Dice il poeta irlandese, Seamus Heaney (1939 - 2013): Virgilio pone la domanda che turba tutti i poeti, a che serve il canto se tutto è sofferenza? A che serve cantare in tempi di violenza?
Con noi un coro di voci europee ed extraeuropee a disegnare una geografia e una cronologia del canto, come un impero dagli ampi confini in cui confluiscono musicalità colte e popolari, influenze orientali e occidentali, armene e bizantine, ma anche la tradizione balcanica e quella macedone che conservano il germe misterioso dell'arte aedica e del coro pretragico, fino alle composizioni minimaliste del più lirico tra i contemporanei, l'inglese John Tavener (1944 - 2013), e del suo toccante Funeral Canticle, scritto in occasione della scomparsa del padre.

ANAGOOR
La compagnia nasce nel 2000 a Castelfranco Veneto, su iniziativa di Simone Derai e Paola Dallan, ai quali si aggiungeranno successivamente Marco Menegoni, Moreno Callegari, Serena Bussolaro, Gayanée Movsisyan, Eliza Oanca, Monica Tonietto e molti altri, facendo dell'esperienza un progetto di collettività.
Dal 2004 al 2007 si dedica ad una totalizzante immersione nel teatro e nella poesia di Eschilo, studiando e mettendo in scena la trilogia dell'Orestea. Tre anni di lavoro che diventeranno uno momento fondativo del percorso e della visione artistica del gruppo. Nel 2008 la compagnia è finalista al Premio Extra con Jeug*, un dialogo autentico seppur senza parole tra essere umano e animale, che non dimentica filtri e contraddizioni tra naturale e culturale: in scena Anna Bragagnolo e una giumenta non addestrata. Nel 2009 in Tempesta tornano i temi cari alla compagnia: l'individuo di fronte ai vortici della Natura e della Storia sono rivisti attraverso gli umori della pittura di Giorgione, genius loci di Castelfranco e figura manifesto con cui il gruppo si presenta al Premio Scenario ricevendo una Segnalazione Speciale.
L'anno successivo, Anagoor è finalista al Premio Off promosso dal Teatro Stabile del Veneto, mentre nel 2011 entra a far parte del progetto Fies Factory e del network internazionale Apap. Fra 2010 e 2011 la compagnia lavora all'articolato cluster di performance dedicate alla figura di Mariano Fortuny, alla memoria e all'eredità culturale: il progetto si conclude con lo spettacolo Fortuny, invitato alla Biennale di Venezia diretta da Alex Rigola. Contemporaneamente con Tempesta Anagoor avvia una tournée internazionale che la conduce in Inghilterra, Danimarca, Portogallo e Francia. Nel 2012 debuttano il film/concerto Et manchi pietà sulla vita della pittrice Artemisia Gentileschi, e L.I. Lingua Imperii il nuovo lavoro teatrale della compagnia: un canto corale attorno ad antiche odiose abitudini secondo le quali, nelle forme della caccia, alcuni uomini si sono fatti predatori di altri uomini e, ancora nel XX secolo, hanno intriso il suolo d'Europa del sangue di milioni di persone. Nel 2013 la compagnia firma la prima regia di un'opera: Il Palazzo di Atlante di Luigi Rossi (1642), libretto di Giulio Rospigliosi, che ha debuttato alla Sagra Musicale Malatestiana di Rimini.
Nel 2013 Anagoor è insignita del Premio Hystrio-Castel dei mondi. Simone Derai è stato insignito del premio "Jurislav Korenić" come miglior giovane regista per lo spettacolo L.I. Lingua Imperii al GRAND-PRIX del 53mo Festival MESS di Sarajevo.

La compagnia è per la seconda volta al Festival dopo L.I. Lingua Imperii nel 2013.

anagoor.com

dopo il Festival:
25-26 luglio drodesera 'SKILLBUILDING', Dro;
26 agosto Operaestate Festival Veneto ‘B.MOTION', Bassano del Grappa; 15-16 novembre Romaeuropa Festival, Roma

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