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4-5 luglio
MONCALIERI Limone Fonderie Teatrali

QUESTO BUIO FEROCE

di Pippo Delbono
regia Pippo Delbono

con Dolly Albertin, Gianluca Ballaré, Raffaella Banchelli, Bobò,
Margherita Clemente, Lucia Della Ferrera, Ilaria Distante, Gustavo Giocosa,
Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Pepe Robledo

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Festival delle Colline Torinesi, Teatro di Roma, Théâtre du Rond Point Paris, TNT Théâtre National de Toulouse Midi-Pyrénées, Maison de la Culture d’Amiens, Le Merlan Scène Nationale de Marseille, Le Fanal Scène Nationale de Saint Nazaire, Théâtre de la Place Liège

STUDIO PER IL FESTIVAL
Quando le luci si spengono -
poco per volta ci si abitua al buio
come quando il vicino, sollevando alto
il lume, ci dà il suo addio -
Dapprima - i passi si muovono incerti
nel buio improvviso -
poi - lo sguardo si abitua alla notte -
e senza incertezze affrontiamo la strada -
Ed è così nelle oscurità più fonde -
in quelle notti lunghe della mente
quando non c’è luna che sveli un suo segno - quando non c’è stella che - dentro - si accenda -
E i più coraggiosi - per un poco brancolano - e battono - a volte - dritti in fronte - contro il tronco di un albero - ma poi imparano a vedere -
E allora è la notte che si trasforma -
oppure un qualcosa nella vista
che alla mezzanotte si conforma -
E la vita procede quasi senza incertezza.
(Emily Dickinson)


Una stanza bianca. Vuota. Una scatola senza finestre. Tagli di luce dall’alto. Un battito di un cuore che pulsa forte, sempre più forte. E poi scompare.
Esseri umani sconosciuti tra di loro. Alieni. Di un tempo futuro e di un tempo passato. Eleganti. Dai vestiti antichi e alla moda. Il viso bianco.
Riproducono giochi. Di adulti. Sadici. Violenti. Crudi.
“Salò” il film sacro di Pasolini sulla bestialità dell’essere umano. Questo buio feroce.
Esseri umani. Persi. Isolati tra loro. Si cercano. Si trovano. Si perdono. Di nuovo.
“Ognuno traccia intorno a sé un cerchio magico e lascia fuori tutto quello che non si adatta ai suoi giochi segreti.”
Esseri Umani. Che gridano. Che piangono.
Come bambini. Incoscienti. Perduti. Un gioco che si allarga verso quelli che li guardano nella platea. Lo spazio che li divide da loro scompare. Il cerchio magico si allarga. E poi si richiude di nuovo. Come una pietra gettata in un lago. Che crea altri cerchi. Cerchi che si moltiplicano, si accavallano, ritornano, scompaiono. Come le note di una musica che si ripetono uguali e diverse. Un polmone vivo sotto l’acqua apparentemente ferma. Che pulsa.
La pietra sopra il cuore. Il battito del cuore sotto la pietra. Una breccia feroce di luce come i tagli di luce nei drammatici visi del Caravaggio. Voglio gente per rincorrere con me la luce. È un’esplosione. Un concerto rock. Una catarsi. Una rivolta. Rompere i muri con un grido che squarcia la tela come nei quadri di Frida Kahlo la pittrice messicana che dipingeva la sua carne ferita.
O i corpi grassi dei torturati nei dipinti del colombiano Botero. Dilaniati.
Da un paese in guerra da anni, da molti anni. Da sempre. E i fiori che spuntano ancora da quella carne. Morta. “Per un minuto di vita, per un minuto vedere nel cervello piccoli fiori.” I fiori rossi sempre più fiori da sempre più ferite. Luce sempre più luce nonostante il buio. “Vedere piccoli fiori che danzano come parole sulla bocca di un muto”. Ancora, ancora voglio scrivere d’amore.
(Pippo Delbono)

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